Nessuno capì davvero perché il ragazzo si ostinasse a camminare a passi alterni lungo le strisce bianche del passaggio pedonale, ignorando ostinatamente quelle nere. Né perché indugiasse accanto a ogni pozzanghera, contemplandola come un portale verso un altro mondo. Alcuni lo avevano visto calciare lattine per minuti interi, altri riferivano che avesse trascorso un pomeriggio intero a camminare sui muretti del parco, rischiando l’osso del collo per mantenere l’equilibrio. Ma nessuno sapeva che lì, in quei gesti apparentemente insensati, si celava un rito di memoria e libertà. In Bambas!, DevilishGames invita a rivivere quell’infanzia dimenticata in cui i marciapiedi erano frontiere da esplorare e le scarpe l’unico vero avatar.
Un passo alla volta
Il cuore ludico di Bambas! è il suo sistema di controllo: ogni scarpa è gestita in modo indipendente tramite stick analogici e grilletti, simulando un’andatura fisica e reale che richiede coordinazione e pazienza. Camminare, saltare, calciare, persino mantenersi in equilibrio: tutto avviene attraverso questa meccanica insolita, che restituisce un’esperienza più corporea di quanto ci si potrebbe aspettare da un gioco sandbox a visuale isometrica.
Il mondo che accoglie i nostri passi è una città costiera stilizzata, disegnata con una palette tra il pastello e il seppia, che alterna scorci marittimi a quartieri urbani, parchi pubblici, spiagge e angoli segreti. L’esplorazione è libera, e il ritmo è scandito dalle sfide proposte da altri personaggi – scarpe parlanti dai toni ironici e spesso surreali – oppure da attività emergenti legate agli oggetti presenti nell’ambiente: calciare una lattina fino al traguardo, evitare le strisce nere, far rimbalzare una palla più volte possibile o trovare tutte le foglie secche da pestare. Il tono resta leggero e spensierato, ma non privo di difficoltà: la precisione richiesta da alcuni compiti e la natura fisica della simulazione mettono alla prova la pazienza.
Scarpe parlanti e street culture
Attraverso la scelta di una narrazione ambientale non lineare, Bambas! evita qualsiasi struttura tradizionale, lasciando che siano i luoghi, le sfide e i dialoghi sparsi a suggerire un affresco urbano vivo e nostalgico. La cultura street emerge nei dettagli: graffiti, rampe da skate, distributori automatici e locali affollati sono decorazioni e meccaniche al tempo stesso, e la colonna sonora varia e dinamica – gestibile dal proprio smartwatch in-game – accompagna ogni passo.
Il medesimo orologio funge da hub per statistiche, progressi e acquisti: la personalizzazione delle scarpe è ampia, da sneakers ispirate a modelli reali (con nomi volutamente parodici) a pinne e stivali improbabili, con vantaggi più estetici che funzionali. Si possono anche sbloccare skateboard e scooter per missioni specifiche, ma il focus resta sempre sull’atto stesso del camminare, lento, attento, ludico.
Un gioco singolare, ma scomodo
Nonostante l’originalità delle sue premesse, Bambas! inciampa in alcune imperfezioni strutturali. La fisica non sempre risponde in modo coerente, rendendo alcune prove frustranti più per casualità che per reale difficoltà. Il sistema di controllo, per quanto ingegnoso, affatica le dita nei periodi prolungati, e la telecamera fissa dall’alto può compromettere la visibilità nelle situazioni più concitate. Ogni riavvio riporta al tutorial iniziale, costringendo il giocatore a ripetere azioni superflue prima di tornare nel cuore del gioco.
Visivamente, l’opera predilige un tratto stilizzato e angolare, ma il livello tecnico resta basilare: texture semplici, ambientazioni poco variegate e un’estetica che vorrebbe evocare l’energia di titoli come Jet Set Radio, senza mai raggiungerne davvero lo slancio visivo. Tuttavia, nonostante questi limiti, Bambas! riesce a mantenere una personalità forte e riconoscibile, rifuggendo ogni somiglianza con altri platform o sandbox attuali.
Il gioco non ambisce a offrire un’esperienza di lunga durata o narrativa articolata. Al contrario, trova la propria forza nei momenti fugaci, nei dettagli urbani, nelle piccole sfide quotidiane che evocano ricordi d’infanzia e gioia dimenticata. È un’opera che invita a camminare lentamente, a soffermarsi su un dettaglio, a giocare come si giocava una volta: senza fretta, senza obiettivi, solo per il gusto di farlo.
