Ci sono esperienze videoludiche che non puntano allo stupore immediato, ma preferiscono insinuarsi con delicatezza, sfiorando corde profonde. Fomography, sviluppato da Brendan Keesing e pubblicato da Dangen Entertainment, è uno di questi titoli: disponibile su PlayStation 5, Xbox Series X|S e PC, propone una riflessione emozionale e interattiva sul valore della memoria e del ricordo, affidando al medium fotografico la chiave per riannodare frammenti di un’esistenza che si va dissolvendo. In una struttura che mescola esplorazione, collezionismo e storytelling, il gioco invita il giocatore a scattare istantanee di ciò che è stato e, forse, anche di ciò che si sarebbe voluto essere.
Ricordare è un atto fragile
Nel cuore di Fomography c’è una narrazione intima: si impersona un anziano ormai senza volto che, con l’aiuto della fotocamera impugnata dal sé più giovane, rivive episodi e scorci del proprio passato. L’obiettivo della macchina fotografica diventa metafora e mezzo: ogni scatto equivale a un frammento recuperato, a un dettaglio strappato all’oblio. La scelta di raccontare la memoria attraverso il linguaggio visivo non è nuova, ma qui acquista una risonanza peculiare, perché ogni immagine non restituisce soltanto un luogo o un volto, bensì un’emozione.
L’impostazione in prima persona rafforza il senso di immersione, mentre la progressione narrativa si affida a un susseguirsi di luoghi e incontri, che sbloccano via via nuove sezioni e missioni fotografiche. Si passa dalle foreste australiane alle grotte sotterranee, fino a centri urbani brulicanti, in un continuo scambio tra natura e civiltà. Non tutto, però, è dato vedere: Fomography lavora con i vuoti, le assenze, le immagini che non si riescono più a mettere a fuoco. Alcuni ricordi emergono nitidi, altri restano vaghi, sfuggenti. Anche per questo, la macchina fotografica diventa un’estensione sensibile del protagonista: ciò che immortali può mutare il corso del racconto.
Uno scatto alla volta
Dal punto di vista ludico, Fomography fonde elementi di esplorazione con una struttura a missioni basata su incarichi fotografici. I personaggi non giocanti affidano al protagonista compiti specifici, legati a oggetti, paesaggi o situazioni da ritrarre. Ogni missione completata sblocca ricordi o nuovi percorsi, ma la scelta di cosa fotografare non è mai meramente meccanica. La fotocamera può essere personalizzata in ogni suo aspetto, dai filtri all’obiettivo, con possibilità che incidono non solo sull’estetica dello scatto, ma anche sul valore narrativo dell’immagine prodotta.
In assenza di una guida iniziale strutturata, l’avvio del gioco può disorientare. Il tutorial è pressoché implicito, e spetta al giocatore scoprire le funzionalità della fotocamera, i parametri ambientali e le logiche di interazione. Questo approccio minimalista, pur coerente con l’atmosfera riflessiva dell’opera, rischia di ostacolare i meno pazienti. Tuttavia, superata la fase iniziale, il titolo si rivela sorprendentemente generoso, con una varietà di ambientazioni e richieste che spingono all’osservazione attenta e alla ricerca creativa.
La gestione dell’inventario fotografico è un ulteriore punto di forza. L’album personale raccoglie tutti gli scatti effettuati, che possono essere ordinati, rivisti e condivisi in una galleria virtuale che diventa diario visivo del viaggio. Alcuni scatti sbloccano contenuti opzionali, altri restano testimonianze puramente affettive. La libertà concessa nel decidere cosa immortalare contribuisce a far sentire ogni partita unica, anche grazie alla grande quantità di dettagli nascosti da scoprire lungo il cammino.
Una poesia visiva imperfetta
L’apparato tecnico di Fomography abbraccia uno stile cartoonesco semplice ma elegante, con colori caldi e linee morbide che contribuiscono a evocare un senso di nostalgia. L’ispirazione visiva ai paesaggi australiani conferisce al gioco un’identità riconoscibile, mentre il design dei personaggi, volutamente stilizzato, accentua il carattere onirico dell’intera esperienza. Le animazioni sono fluide, e il ritmo del gioco si mantiene costante, salvo alcune sezioni, come quelle subacquee, che soffrono di una gestione dei controlli poco reattiva.
Anche la colonna sonora, composta da brani ambientali e melodie eteree, accompagna con discrezione l’esperienza, senza mai cercare di imporsi. È un accompagnamento emotivo, pensato per potenziare la carica evocativa delle immagini e non per indirizzarla. Peccato per la totale assenza della lingua italiana, un’esclusione che pesa, considerato il valore narrativo dei testi e la semplicità strutturale del gioco, che avrebbe potuto facilmente accogliere una localizzazione. Per il pubblico italofono non abituato alla lingua inglese, l’accesso a determinati snodi della trama può risultare limitato, compromettendo parzialmente l’immedesimazione.
Nonostante ciò, Fomography resta un’opera che fa del pudore e della delicatezza il proprio tratto distintivo. Non vuole scioccare, ma accarezzare. Non impone risposte, ma suscita domande. Il risultato è un viaggio che, pur con qualche sbavatura tecnica e un ritmo a tratti diseguale, riesce a lasciare un segno.
