Nel cuore pulsante di un’umanità annientata, cinque anime vagano come ombre in un incubo senza fine. Gorrister, Benny, Ellen, Nimdok e Ted, ultimi superstiti di un’apocalisse orchestrata da un’intelligenza artificiale chiamata AM, sono intrappolati da centonove anni in un gioco sadico di torture psicologiche. Ogni personaggio, plasmato da un passato di traumi e colpe, si ritrova a rivivere le proprie paure più profonde in scenari costruiti ad arte per spezzarne lo spirito. È in questo scenario desolante che prende forma I Have No Mouth, and I Must Scream, un’avventura punta e clicca che, originariamente concepita nel 1995 da Cyberdreams e oggi riproposta con maestria da Night Dive Studios e QUByte Interactive, si rivela un’esperienza “tormentica”, capace di sondare gli abissi della psiche umana. Disponibile su PlayStation 4, PlayStation 5, Nintendo Switch, Xbox One e Xbox Series X|S, il titolo si presenta come un viaggio tanto affascinante quanto disturbante, un’eredità videoludica che sfida il tempo e le convenzioni.
Un’eredità letteraria trasposta con audacia
Tratto dall’omonimo racconto di Harlan Ellison, pubblicato nel 1967 sulla rivista IF: Worlds of Science Fiction, il gioco si discosta dalla linearità narrativa della fonte originale per offrire un’esperienza interattiva che amplia le vicende dei cinque protagonisti. Ellison stesso, voce del diabolico AM e co-autore della sceneggiatura, ha contribuito a tessere una trama che non si limita a replicare il racconto, ma lo arricchisce con vignette individuali, ciascuna dedicata a uno dei personaggi. Gorrister affronta il peso di un matrimonio distrutto in un deserto onirico punteggiato da zeppelin arrugginiti; Ellen si scontra con il terrore di un trauma indicibile in un labirinto di memorie spezzate; Nimdok, figura enigmatica, si muove tra le ombre di un passato che richiama gli orrori dell’Olocausto. Questi scenari, permeati da un’atmosfera opprimente, si fondono in un mosaico di dilemmi morali e interrogativi etici, spingendo il giocatore a esplorare temi complessi come la colpa, la redenzione e la natura stessa dell’umanità. L’approccio narrativo, audace per l’epoca, rimane sorprendentemente attuale, invitando a riflettere su quanto l’uomo possa superare le proprie fragilità di fronte a un avversario che ne conosce ogni debolezza.
Un’estetica che incanta e inquieta
Dal punto di vista tecnico, I Have No Mouth, and I Must Scream conserva il fascino delle avventure grafiche degli anni Novanta, ma si arricchisce di un restauro che ne esalta le qualità senza snaturarne l’essenza. La grafica, con i suoi fondali dipinti a mano e i colori cupi, trasmette un senso di desolazione che si sposa perfettamente con la narrazione. Le tonalità spente, dominate da grigi e marroni terrosi, evocano un mondo in rovina, mentre i dettagli grotteschi degli ambienti – come le viscere metalliche del dominio di AM o le silhouette deformi dei personaggi – accentuano l’atmosfera di disagio. Night Dive Studios ha introdotto un filtro opzionale per smussare i pixel, rendendo l’esperienza visivamente più fluida senza comprometterne il carattere retrò. L’interfaccia, adattata con cura per le console moderne, permette di utilizzare il controller in modo intuitivo, simulando il puntatore del mouse con scorciatoie che semplificano l’interazione senza sacrificare la complessità del gameplay. Il doppiaggio, interamente in inglese e digitalizzato con una qualità sorprendente per l’epoca, dona ai personaggi una profondità emotiva che culmina nella performance di Ellison come AM, un misto di sarcasmo e ferocia che rende ogni dialogo un’esperienza memorabile. I sottotitoli in italiano, precisi e ben tradotti, garantiscono un’accessibilità completa, sebbene l’assenza di una localizzazione vocale possa rappresentare un limite per chi preferisce un’immersione totale.
Un gameplay che sfida mente e morale
L’anima del gioco risiede nel suo gameplay punta e clicca, un modello che, pur radicato nelle convenzioni del periodo della sua creazione, si distingue per la sua capacità di intrecciare enigmi e narrazione. Ogni capitolo dedicato ai protagonisti propone sfide uniche, spesso legate ai traumi personali dei personaggi, che richiedono un approccio tanto logico quanto emotivo. Risolvere un enigma non significa solo avanzare nella trama, ma anche confrontarsi con scelte che mettono in discussione la moralità del giocatore: perdonare un torto, affrontare una verità scomoda o cedere alla disperazione sono opzioni che influenzano l’esito delle vicende. Alcuni rompicapo, tuttavia, possono risultare criptici, riflettendo una sensibilità tipica dell’epoca in cui la sperimentazione prevaleva sulla linearità. Se da un lato questa complessità aggiunge fascino, dall’altro potrebbe spingere i meno pazienti a consultare una guida. La varietà dei finali, che spaziano dalla sconfitta totale a una fragile speranza, premia l’esplorazione e invita a rigiocare per scoprire ogni sfumatura della storia. Le musiche, sobrie ma incisive, accompagnano l’esperienza con melodie minimali che amplificano il senso di oppressione, mentre gli effetti sonori – dai clangori metallici ai lamenti soffocati – contribuiscono a un’immersione sensoriale che non lascia indifferenti.
Un viaggio che lascia il segno
I Have No Mouth, and I Must Scream non è un gioco per tutti. La sua natura introspettiva, unita a temi maturi come la violenza, il trauma e la perdita, lo rende un’esperienza destinata a un pubblico adulto, capace di apprezzarne la profondità senza lasciarsi sopraffare dalla cupezza. Eppure, è proprio nella sua capacità di disturbare che risiede il suo valore: il gioco non cerca di compiacere, ma di provocare, di spingere il giocatore a interrogarsi sul significato di umanità in un contesto di assoluta disperazione. L’adattamento di Night Dive Studios e QUByte Interactive rende giustizia a un classico, preservandone l’anima e rendendolo accessibile a una nuova generazione senza compromessi. Il prezzo, forse leggermente elevato per un titolo dalla durata non eccezionale, è giustificato dalla qualità del restauro e dall’unicità dell’esperienza. Questo non è solo un videogioco, ma un viaggio nell’oscurità dell’anima, un’opera che, a distanza di trent’anni, continua a parlare con una voce potente e indimenticabile.
