Nel cuore del dibattito politico giapponese si è aperta una riflessione profonda su un tema che unisce tecnologia, creatività e identità culturale. Il 16 aprile scorso, durante una riunione del Comitato di Gabinetto della Camera dei Rappresentanti, il parlamentare Masato Imai ha interrogato il Ministero dell’Istruzione, della Cultura, dello Sport, della Scienza e della Tecnologia sulla crescente diffusione di immagini realizzate da intelligenze artificiali che replicano lo stile visivo dello Studio Ghibli.
L’input per questo confronto politico è stato l’incremento repentino, negli ultimi mesi, di illustrazioni generate da strumenti come ChatGPT, ora in grado non solo di produrre testo ma anche immagini modellate su stili artistici preesistenti. Una delle richieste più comuni da parte degli utenti è la produzione di opere “in stile Ghibli”, un’estetica ormai riconoscibile e ampiamente apprezzata nel mondo.
Dove finisce lo stile e dove inizia la violazione
La questione al centro del dibattito riguarda la sottile distinzione, giuridicamente cruciale, tra stile artistico e contenuto protetto da copyright. Hirohiko Nakahara, direttore generale del ministero per la strategia culturale, ha spiegato che l’attuale legislazione sul diritto d’autore non tutela le idee e gli stili artistici in quanto tali, ma solo le opere che rappresentano un’espressione creativa originale.
Secondo questa interpretazione, una semplice evocazione dello stile Ghibli, per quanto somigliante, non configurerebbe automaticamente una violazione. Tuttavia, Nakahara ha precisato che, qualora i contenuti generati dall’IA risultassero troppo simili a opere già esistenti, si potrebbe effettivamente entrare in un ambito di infrazione del copyright.
La complessità aumenta considerando che lo Studio Ghibli ha visto il contributo di ben quindici character designer differenti nel corso dei decenni, rendendo arduo stabilire una cifra stilistica univoca. Se Akihiko Yamashita, ad esempio, ha curato il design di personaggi per titoli come Il castello errante di Howl, I racconti di Terramare e Arrietty, il suo stile ha trovato spazio anche in opere esterne a Ghibli, come Mary e il fiore della strega dello Studio Ponoc, lasciando aperto il dibattito su cosa significhi effettivamente “arte Ghibli”.
L’identità Ghibli e la sfida dell’intelligenza artificiale
Il caso Ghibli si presenta come emblema di una questione più ampia che coinvolge il ruolo dell’intelligenza artificiale nella produzione culturale. Lungi dall’essere un semplice fenomeno passeggero, l’uso dell’IA per emulare stili artistici apre interrogativi profondi sull’autenticità dell’arte, sul valore dell’intervento umano e sul rispetto per le opere che costituiscono il patrimonio simbolico di una nazione.
Nel caso dello Studio Ghibli, il discorso si fa ancor più delicato. L’opera di Hayao Miyazaki e dei suoi collaboratori non rappresenta soltanto una vetta dell’animazione mondiale, ma è anche simbolo di una tradizione artigianale che ha sempre rifiutato scorciatoie digitali, esaltando la manualità e il tocco personale. Che la tecnologia possa ora replicare — o simulare — questo stile attraverso automatismi algoritmici rappresenta per molti non solo un problema legale, ma un vero cortocircuito culturale.
La discussione, pur non essendo giunta a una conclusione normativa, ha il merito di porre al centro il confronto tra innovazione tecnologica e tutela dell’identità artistica. In attesa di eventuali evoluzioni legislative o pronunce giudiziarie, il Giappone si conferma ancora una volta terreno d’avanguardia per il confronto tra tradizione e futuro.
Fonti consultate: SoraNews24.