Mi sono svegliato con il rumore del vento che sferzava le finestre di una baita che non riconoscevo, il legno scricchiolante sotto i miei piedi e un odore di muffa che pizzicava le narici. Davanti a me, un vecchio computer ronzava su un tavolo polveroso, lo schermo illuminato da caratteri verdi che sembravano pulsare. Una voce, roca e lontana, mi ha detto: “Gioca, se vuoi vivere”. Ho premuto un tasto, e il pavimento ha tremato, un coltello è caduto da uno scaffale alle mie spalle, mancandomi di un soffio. Non era un sogno, né un’allucinazione: era Is This Game Trying to Kill Me?, e io ero già dentro, intrappolato in un gioco che non distingueva più il virtuale dal reale.
Quando il confine tra realtà e finzione si dissolve, l’esperienza videoludica può trasformarsi in un’odissea tanto affascinante quanto inquietante. È questo il cuore pulsante di Is This Game Trying to Kill Me?, un titolo che debutta il 4 aprile 2025 in formato digitale su PlayStation 4, PlayStation 5, Nintendo Switch, Xbox One e Xbox Series X|S, frutto della creatività dello studio indipendente Stately Snail e distribuito da Sometimes You. Questo rompicapo horror psicologico in prima persona immerge i giocatori in una baita isolata, avvolta dal mistero di una foresta senza nome, dove un enigmatico proprietario propone una sfida: giocare a un gioco per computer per conquistare la libertà. Ma ciò che inizia come un semplice passatempo digitale si trasforma presto in una lotta per la sopravvivenza, con trappole e segreti che intrecciano il virtuale e il reale in un connubio tanto originale quanto spiazzante. Con un’ambientazione che strizza l’occhio alla nostalgia e una tensione che cresce a ogni passo, il titolo si propone come un esperimento audace, non privo di qualche inciampo, ma capace di catturare l’attenzione di chi cerca un’esperienza fuori dagli schemi.
Un doppio mondo di enigmi e terrore
L’essenza di Is This Game Trying to Kill Me? risiede nella sua capacità di fondere due dimensioni: quella della baita, con i suoi angoli polverosi e i suoi segreti sussurrati, e quella del gioco al computer, un’interfaccia retrò che evoca i primordi dell’informatica. Qui, i giocatori si trovano a risolvere enigmi che richiedono non solo logica, ma anche una costante consapevolezza del legame tra le loro azioni nei due spazi. Spostare un oggetto nella baita può alterare il codice del gioco digitale, mentre un errore sullo schermo può scatenare una trappola mortale nella realtà. Questa dualità, che rappresenta il vero fulcro dell’esperienza, si rivela intrigante e ben orchestrata nella maggior parte dei casi: gli enigmi, spesso stratificati, spingono a riflettere sulle connessioni tra i due mondi, offrendo una soddisfazione palpabile quando si comprende la loro logica sottostante. Tuttavia, non tutto scorre liscio. Alcuni passaggi si affidano a un approccio trial-and-error che può spezzare il ritmo, con morti improvvise che sembrano più un espediente per sorprendere che una sfida equa. Per chi apprezza i rompicapo complessi e il brivido dell’incertezza, però, questa struttura rappresenta un’attrattiva difficile da ignorare.
Atmosfera e tecnica: luci e ombre di una baita maledetta
L’ambientazione ristretta della baita si trasforma in un punto di forza grazie a un lavoro certosino sul design ambientale. Ogni crepa nel legno, ogni ombra che danza alla luce tremolante, contribuisce a costruire un’atmosfera densa di tensione, amplificata da una narrazione implicita che lascia spazio all’immaginazione senza mai svelare troppo. Il gioco digitale, con i suoi pixel volutamente datati e i suoi toni cupi, crea un contrasto efficace con l’immersione tridimensionale della baita, evocando un senso di nostalgia che si scontra con il terrore moderno. Il comparto sonoro gioca un ruolo cruciale in questo equilibrio: scricchiolii improvvisi, fruscii lontani e silenzi opprimenti si alternano per mantenere i nervi tesi, mentre l’illuminazione dinamica accentua i momenti di maggior pathos. Sul versante tecnico, i controlli rispondono con una discreta fluidità, ma non mancano imperfezioni. Le transizioni tra il computer e la baita fisica possono risultare macchinose, con interazioni talvolta imprecise che compromettono l’immersione. La telecamera, inoltre, soffre di occasionali incertezze, specialmente negli spazi più angusti, rendendo la navigazione meno intuitiva di quanto sarebbe auspicabile in un titolo che fa della reattività un elemento chiave.
Una sfida alla percezione con qualche compromesso
La forza di Is This Game Trying to Kill Me? sta nella sua ambizione di riscrivere le regole dell’interattività, spingendo i giocatori a mettere in discussione ciò che è reale e ciò che non lo è. I finali multipli, che variano in base alle scelte compiute, incentivano a esplorare ogni possibilità, mentre le numerose morti – spesso brutali e inaspettate – aggiungono un sapore di rigiocabilità che premia la curiosità. Tuttavia, questa struttura non è esente da critiche. La dipendenza da pericoli predefiniti e la necessità di memorizzare sequenze specifiche per avanzare possono far storcere il naso a chi cerca una progressione più organica, dando talvolta l’impressione che il gioco voglia punire più che coinvolgere. Anche la curva di difficoltà appare altalenante: se alcuni enigmi brillano per ingegno, altri si risolvono per pura casualità, minando la coerenza complessiva. Eppure, è proprio nell’audacia di questa formula che il titolo trova la sua identità, offrendo un’esperienza che, pur con i suoi difetti, si distingue nel panorama degli horror psicologici per la sua capacità di giocare con la mente del giocatore. Definirlo “metamortale” – un aggettivo che unisce la meta-riflessione alla minaccia costante – sembra calzante per un’opera tanto spietata quanto affascinante.
