Il 28 gennaio l’account ufficiale X (ex Twitter) di Sega ha condiviso un articolo di The Japan Times. L’argomento dell’articolo, la localizzazione dei giochi giapponesi, ha suscitato reazioni contrastanti nella comunità non di lingua giapponese, con molti giocatori che hanno espresso il loro disaccordo con l’idea che gli sviluppatori giapponesi adattino culturalmente i giochi per il pubblico occidentale. Questo avviene subito dopo la pubblicazione da parte di Sega di Like a Dragon: Infinite Wealth, l’ultimo nato di una serie adorata per la sua giapponesità senza fronzoli.
ゲームを、各国の言語やカルチャーなどを鑑みて適切に翻訳する「ゲームローカライゼーション」をご存じですか? ローカライズの取材を受けました。
From Japan to the world: how to translate a game – The Japan Times #LikeADragon #InfiniteWealth #龍が如く8 https://t.co/pvFoYS5WDr
— セガ公式アカウント🦔 (@SEGA_OFFICIAL) January 28, 2024
Il tema “localizzazione VS traduzione diretta” è sempre stato molto sentito dai fan di anime e videogiochi giapponesi, soprattutto a causa di casi di localizzazioni che si prendono troppe libertà nell’adattare o censurare la sceneggiatura originale, con il risultato di alterare i significati o il linguaggio “troppo americano”. Un esempio recente è la localizzazione inglese di Granblue Fantasy Versus: Rising di Cygames, che è stata criticata per le traduzioni dei dialoghi fuori personaggio e per l’uso di espressioni gergali come “simping” e “vitamin D” in contesti poco consoni.
Ma di cosa parla l’articolo condiviso da Sega? Essenzialmente, parla della localizzazione come uno dei fattori importanti per il successo del lancio di un gioco al di fuori del Giappone. Descrive come la localizzazione, nel corso degli anni, sia migliorata in termini di qualità e sia diventata adeguatamente standardizzata.
Il team di localizzazione di SEGA of America commenta che la localizzazione è cambiata in favore di una “maggiore fedeltà al contenuto culturale ed emotivo dei giochi giapponesi”. Sebbene questo sia un ideale su cui tutti i giocatori saranno probabilmente d’accordo, il problema risiede probabilmente nell’idea successiva presentata: “Il giocatore, da qualsiasi paese provenga, dovrebbe capire e provare le stesse cose di chi gioca in lingua originale”. A giudicare da ciò che gli utenti hanno detto in risposta al post di Sega, i giocatori (in particolare quelli che amano la serie Like a Dragon) vogliono vivere i giochi giapponesi come “giochi giapponesi”, cioè vogliono che sia preservata la sensazione che il gioco sia “culturalmente straniero”, piuttosto che avere le cose adattate e stimate agli equivalenti occidentali (spesso non abbastanza vicini).
Sembrerebbe che, per i giocatori che non parlano giapponese, gran parte del divertimento nei giochi giapponesi derivi dall’incontro con concetti e frasi che si possono trovare solo in un gioco giapponese, oltre che dall’avere una visione non filtrata del clima sociale in Giappone e della mente dei creatori giapponesi. Questo aspetto è legato anche a un altro punto per cui la localizzazione dei videogiochi viene criticata: le modifiche che rendono il contenuto del gioco più accettabile in relazione agli standard sociali occidentali. Molti utenti ritengono che i localizzatori apportino (o siano istruiti ad apportare) troppe modifiche che interferiscono con l’espressione creativa originale di un’opera, ponendoli in una posizione più vicina a quella di coautori che a quella di localizzatori.
Ovviamente, “non localizzare più nulla” non è una soluzione, perché i videogiochi, proprio come la letteratura, non possono funzionare solo con la traduzione letterale (in particolare con una coppia di lingue così drasticamente diverse come l’inglese e il giapponese), ma è importante riconoscere che la localizzazione può essere fatta in vari gradi, alcuni giusti, altri eccessivi. Per coincidenza, Like a Dragon di Sega ha dato un buon esempio di “delocalizzazione” al punto giusto rinominando la propria IP.
Sega ha deciso di rinominare la serie “Yakuza” in “Like a Dragon”, poiché la parola “yakuza” non si trova da nessuna parte nei titoli originali giapponesi e, soprattutto, ha un suono negativo per l’orecchio giapponese. Parlando con The Japan Times, il direttore dello Studio Ryu Ga Gotoku Yokoyama Masayoshi ha commentato: “Avere la parola ‘yakuza’ nel titolo (inglese) danneggia le vendite in Giappone”; “La società giapponese sta diventando sempre più dura nei confronti della yakuza. In passato se ne poteva parlare in televisione, ma è diventata una parola tabù”. Sebbene la parola “yakuza” possa sembrare più cool e “più giapponese” per i giocatori non giapponesi, la sua eliminazione ha fatto un lavoro migliore nel trasmettere la mentalità giapponese moderna.
D’altra parte, il team di localizzazione di Sega fa notare che, grazie alla maggiore popolarità della cultura giapponese, la localizzazione è diventata più facile, commentando: “La gente sa cos’è il ramen ora … non abbiamo più bisogno di dire ‘noodles'”. Ma, ironia della sorte, se tutte le localizzazioni dei media giapponesi si fossero attenute a “noodles” per riferirsi al ramen nel corso degli anni, c’è da chiedersi quante persone avrebbero conosciuto il vero nome del piatto.
Questo dimostra quanto sia importante trovare il giusto equilibrio nella localizzazione: se ogni secondo termine è oscuro e seguito da lunghe note a piè di pagina che lo spiegano, nessun giocatore moderno avrà la pazienza di giocare. D’altra parte, se tutto ciò che rende un gioco giapponese viene sostituito da vaghi equivalenti occidentali, l’immersione può essere altrettanto rovinata. In futuro, gli sviluppatori potrebbero essere tenuti a rispettare standard sempre più elevati per garantire il raggiungimento di questo equilibrio.
Fonti consultate: Automaton.