La luce tremolante del proiettore danza sulla parete scrostata. Un film in bianco e nero prende vita: un licantropo mascherato lotta contro una mummia tra le rovine di una piramide azteca. Il pubblico trattiene il fiato. Ma non siamo nel 1954, e non siamo in un cinema: siamo nel cuore pulsante di Mostroscopy, titolo di Oribe Ware Games che riporta in auge l’estetica e l’immaginario dei b-movie horror messicani, trasportando l’intero arsenale di vampiri, fantasmi e luchadores all’interno di un picchiaduro accessibile, stilizzato e sorprendentemente nostalgico. Disponibile su PlayStation 5, PlayStation 4, Nintendo Switch, PC, Xbox Series X|S e Xbox One, il gioco si presenta con un impianto tecnico modesto ma con una chiara dichiarazione d’amore verso un cinema dimenticato, a metà tra Grindhouse e le glorie dei fumetti pulp.
Una parata di archetipi mascherati
Il cuore di Mostroscopy è il suo cast. Vampiri con il trucco colante, mummie dai bendaggi scomposti, fantasmi ispirati alle leggende locali come La Llorona, fino a lottatori mascherati in abiti sgargianti: ogni personaggio sembra uscito da un vecchio rullo consumato dal tempo. Eppure, c’è coerenza nel disegno visivo. Il tratto ruvido, l’uso di filtri che simulano l’effetto pellicola, le musiche monocordi che sembrano uscite da un organetto da fiera: tutto contribuisce a un’atmosfera spiccatamente retrò, dove l’estetica non è semplice cornice ma parte integrante dell’esperienza.
I combattimenti si sviluppano su un sistema essenziale: tre tasti principali gestiscono attacco normale, attacco speciale (attivato con direzione + tasto) e parata. Nonostante la struttura minimalista, ogni personaggio possiede un repertorio distinto di animazioni e attacchi, che consente di abbozzare semplici combo e di interpretare lo stile di ciascun lottatore. È evidente la volontà di rendere il gioco accessibile a tutti, quasi un “entry level” per chi voglia avvicinarsi al genere senza studiare liste complesse di comandi. L’intenzione è nobile, ma non sempre efficace.
Un’anima brillante sotto una superficie opaca
La semplificazione del sistema di controllo, se da un lato permette un’immediatezza rara, dall’altro limita fortemente la profondità tecnica. Il tempo di reazione non sempre è impeccabile, il feeling dei colpi manca di peso, e l’inerzia degli scontri fatica a restituire tensione. L’esperienza, soprattutto per chi ha frequentato titoli come Darkstalkers o Guilty Gear, può apparire poco incisiva, quasi ovattata. Tuttavia, nel gioco persiste una certa grazia, una leggerezza volontaria che lo distingue da altri picchiaduro più esigenti.
Il titolo include diverse modalità: arcade con finali individuali per ciascun lottatore, versus locale per due giocatori, modalità sfida e allenamento, e – solo su PC – la componente online, assente nelle versioni console. Una mancanza che pesa soprattutto per chi desidera misurarsi con avversari umani al di fuori del divano di casa. L’intelligenza artificiale, infatti, non brilla per aggressività o varietà comportamentale, e dopo poche ore la sensazione di ripetitività prende il sopravvento.
Sul fronte tecnico, Mostroscopy è un prodotto modesto ma onesto. Le animazioni sono talvolta legnose, ma coerenti con lo stile low-budget a cui si ispira. Il comparto audio, pur senza picchi di originalità, fa il suo dovere. Va però lodata la presenza dei sottotitoli in italiano, una scelta non scontata che agevola l’accessibilità del pubblico nostrano, specie considerando le origini messicane del progetto. In alcuni momenti, grazie a cutscene statiche ben illustrate e schermate di selezione personaggi dal gusto vintage, si respira davvero l’atmosfera di una pellicola di altri tempi.
Un culto di nicchia
L’operazione portata avanti da Oribe Ware Games e Seashell Studio non ha certo le ambizioni di rivoluzionare il genere, ma punta piuttosto a costruire una piccola comunità di appassionati attorno a un’identità visiva forte e a una giocabilità senza pretese. Il fatto che il gioco nasca in uno dei contesti meno rappresentati dell’industria – lo stato di Hidalgo, in Messico – aggiunge ulteriore valore culturale all’opera. Mostroscopy è un tributo: a un’epoca, a un cinema, a un modo ingenuo e appassionato di intendere l’intrattenimento. E come tale, va compreso e accolto per ciò che è, senza aspettarsi la profondità o la brillantezza delle produzioni maggiori.
Chi cerca un’esperienza competitiva, raffinata e tecnica troverà probabilmente pane indigesto. Ma chi ama le atmosfere da drive-in, le suggestioni folkloriche e l’umorismo involontario dei mostri in lattice potrà scoprire un piccolo baule di curiosità e riferimenti da esplorare con il sorriso sulle labbra. La strada per rendere Mostroscopy un progetto solido è ancora lunga, ma il fascino naïf che emana non può essere ignorato del tutto. A volte, anche i giochi più imperfetti riescono a raccontare qualcosa che le grandi produzioni non osano più evocare.
