Il silenzio era totale. Nessun rumore dai corridoi, nessun passo oltre le sbarre. Solo il ronzio elettrico delle luci al neon e il respiro incerto di chi è rimasto indietro. In quella prigione evacuata in fretta, qualcosa continua a muoversi. E non è umano. Inizia così Prison Alone, horror psicologico sviluppato da Gaister Studios e pubblicato da QUByte Interactive, disponibile per PlayStation 5, Xbox Series X|S, Xbox One, Nintendo Switch e PC. Il gioco, testato su console Sony, propone un’esperienza breve ma intensa, che punta tutto sull’esplorazione e sull’atmosfera, rinunciando a spaventi facili per scavare invece nell’inquietudine più profonda.
La solitudine come condanna
Nel ruolo di un prigioniero rimasto volontariamente chiuso all’interno del penitenziario abbandonato, il giocatore si ritrova immerso in ambienti cupi e angoscianti. Lo scopo non è sopravvivere a creature mostruose né scappare da pericoli imminenti, ma scoprire lentamente cosa si cela tra quelle mura, mentre la tensione cresce a ogni passo. La scelta narrativa iniziale – corrompere una guardia per restare indietro e approfittare del caos – è tanto originale quanto inquietante. La prigione non è solo un luogo da cui fuggire, ma anche un simbolo dello smarrimento interiore, della colpa e della paura dell’ignoto.
Prison Alone evita deliberatamente l’uso dei jumpscare, concentrandosi invece su un’atmosfera opprimente che si costruisce grazie al buio, al silenzio e all’incertezza. I rumori sono ridotti al minimo: passi ovattati, scricchiolii lontani, l’eco dei propri movimenti. Il risultato è un’esperienza che, pur nella sua semplicità strutturale, riesce a generare una costante tensione emotiva. Il giocatore si muove in prima persona tra corridoi, celle, uffici deserti e sotterranei, cercando indizi, chiavi e soluzioni per accedere a nuove aree, senza mai sapere cosa troverà dietro l’angolo successivo.
Minimalismo sensoriale
La direzione artistica privilegia l’oscurità. Gran parte del gioco si svolge illuminati soltanto dalla luce flebile di una torcia, dettaglio che contribuisce sia all’immersione sia alla difficoltà dell’esplorazione. Graficamente, Prison Alone non ambisce al fotorealismo né alla ricchezza dei dettagli: gli ambienti sono spogli, i modelli semplici, le texture essenziali. Eppure, questa sobrietà visiva non gioca a sfavore dell’esperienza, anzi rafforza il senso di isolamento e smarrimento.
Su PlayStation 5, il gioco si comporta in modo stabile, senza cali di frame rate o bug evidenti. L’interfaccia è ridotta all’osso, così come la presenza di testi e dialoghi: l’unica narrazione è affidata a poche lettere sparse nell’ambiente, spesso lasciate da chi è scomparso prima del nostro arrivo. La localizzazione italiana è assente, ma la semplicità del lessico inglese non rappresenta un ostacolo significativo, a meno di non voler approfondire ogni dettaglio della storia implicita.
La colonna sonora, se così si può definire, è quasi inesistente. Al suo posto, il gioco preferisce il suono ambientale, o meglio, l’assenza di suoni. Questo vuoto acustico, sebbene rischi a tratti di apparire monotono, contribuisce a mantenere alta la tensione, perché nulla avverte il giocatore di un pericolo imminente: ci si muove nella più totale incertezza.
Una fuga breve ma densa
Dal punto di vista ludico, Prison Alone è un titolo lineare e privo di reali ostacoli. Non ci sono nemici da affrontare, solo ambienti da esplorare e enigmi ambientali da risolvere, spesso legati all’uso di oggetti chiave o all’osservazione attenta di ciò che ci circonda. I puzzle sono modesti, pensati per spezzare il ritmo e dare un senso di progressione, ma senza mai mettere alla prova davvero le capacità logiche del giocatore.
Il gioco si completa in meno di un’ora. Una durata contenuta, che può rappresentare un limite per alcuni, ma che si inserisce perfettamente nell’intento autoriale del progetto. Non siamo di fronte a un’opera espansa o complessa, ma a una breve incursione nell’ansia, un racconto da camera videoludico costruito con coerenza. Per chi è alla ricerca di trofei facili o per gli amanti dell’horror atmosferico, il titolo potrebbe rivelarsi un’opzione interessante, anche in virtù del suo prezzo contenuto.
Tuttavia, è lecito sottolineare come Prison Alone manchi di profondità sia narrativa che strutturale. La storia resta appena accennata, e nonostante alcune intuizioni suggestive, il gioco non riesce a esplorare fino in fondo il potenziale metaforico della sua ambientazione. Manca quel guizzo capace di trasformare la tensione in terrore, la prigione in incubo. Si resta sulla soglia, osservando con interesse, ma senza mai essere travolti.
