Nel cuore di una foresta che sussurra segreti e scricchiola sotto i passi, una giovane cammina con passo incerto tra le ombre degli alberi contorti. Si chiama Vasilisa e ha lasciato la propria casa non per una fuga, ma per un compito: ottenere il potere del fuoco dalla strega più temuta delle terre russe, Baba Yaga. Il viaggio che si apre davanti a lei non è solo terreno, ma spirituale e iniziatico. È in questo spazio sospeso tra la fiaba e l’incubo che prende forma Vasilisa and Baba Yaga, avventura narrativa sviluppata da Baba Yaga Games e pubblicata da Games Harbor, disponibile su PC, Nintendo Switch, PlayStation 4 e PlayStation 5. Abbiamo provato il gioco su quest’ultima piattaforma.
Tra folklore e quotidianità
L’opera prende ispirazione dalla fiaba russa di Vasilisa la Bella, proponendo una reinterpretazione fedele al tono originale, non edulcorato, del folklore slavo. In questo contesto, le prove che la protagonista affronta mescolano elementi soprannaturali con faccende domestiche: lavare piatti, cucire, impastare pirogi diventa parte integrante di un percorso rituale verso l’emancipazione. Il gameplay è costruito attorno a una sequenza di minigiochi che alternano sezioni di fuga, prove di attenzione, segmenti stealth e duelli con spiriti malvagi. Ogni sfida è inserita in modo coerente nella narrazione, ma tende a ripetersi nelle meccaniche, limitando la varietà dell’esperienza sul lungo periodo.
Il combattimento contro creature come Vodyanoy, Bolotnik o Leshy si svolge con una semplicità che non insegue la profondità tattica, ma richiama la struttura rituale del racconto: più che scontri, sono passaggi obbligati, prove di coraggio più che di abilità. Le fasi di esplorazione, seppur limitate nella libertà d’azione, sono ricche di dettagli grafici che restituiscono l’atmosfera cupa e fiabesca della foresta proibita. La presenza di una bambola magica, retaggio dell’amore materno di Vasilisa, aggiunge una nota di calore affettivo che accompagna il giocatore lungo tutto il viaggio.
L’estetica della narrazione
Ciò che distingue Vasilisa and Baba Yaga da molte altre esperienze analoghe è la coerenza estetica. Il comparto visivo, realizzato con disegni manuali dai tratti evocativi e decisi, riflette lo spirito delle illustrazioni tradizionali slave. Le tinte opache, i colori terrosi e i contorni marcati trasmettono un senso di antichità e sacralità. La colonna sonora, basata su canti popolari del centro e sud della Russia, accompagna con discrezione i momenti più intensi, arricchendo l’immersione. Ma è soprattutto la narrazione orale, in dialetto russo meridionale, a rendere l’opera autentica: un narratore racconta gli eventi con il tono incantato e familiare dei villaggi, restituendo al gioco la dimensione arcaica della favola tramandata.
Una menzione speciale merita l’enciclopedia interna, una raccolta di voci che spiegano personaggi, oggetti e riti del folklore russo. È un’aggiunta preziosa per chi desidera approfondire i significati nascosti dietro ogni simbolo, e rappresenta un raro esempio di mediazione culturale ben eseguita nel medium videoludico.
Suggestione o sostanza?
Nonostante il fascino innegabile della proposta, Vasilisa and Baba Yaga soffre di alcune fragilità. Il ritmo, cadenzato dai minigiochi, non sempre riesce a mantenere viva la tensione narrativa. Alcuni segmenti, come le fughe o gli inseguimenti, risultano troppo brevi o indulgenti nella difficoltà, privando il giocatore di un reale senso di sfida. Le meccaniche, seppur variate in superficie, si basano su schemi simili che, a lungo andare, perdono mordente. Inoltre, ancora una volta, l’assenza di una localizzazione italiana – neppure nei sottotitoli – limita fortemente l’accessibilità per il pubblico nostrano, in un gioco in cui la parola ha un ruolo fondamentale.
Ciò detto, la durata contenuta e la natura episodica rendono l’esperienza adatta a chi cerca un racconto breve ma denso di atmosfera. Vasilisa and Baba Yaga non è un’avventura estesa o complessa, ma una parentesi onirica che si consuma in poche ore e lascia dietro di sé un’eco malinconica, come una storia sussurrata al crepuscolo.
